La collana vuole costituire una vera e propria galleria che raccolga i Volti dei più importanti filosofi contemporanei. La grafica ne riprende l'idea : la copertina mostra il volto dell'autore parzialmente mascherato, ed è solamante nell'ultima pagina che esso viene svelato nella sua totalità; così la conoscenza dell'autore può essere restituita solamente in seguito ad una vera e propria traversata creativa dei suoi scritti
venerdì 9 novembre 2007
PAOLO BOZZI - Un mondo sotto osservazione
PRESENTAZIONE di Luca Taddio
«Dio mi ha costretto a stare da questa parte, tra i fenomeni; il resto dunque me lo devo immaginare. Fingete che il mondo dell’esperienza sia come effettivamente è; poi se ne parla». P. Bozzi
Paolo Bozzi è stato un pensatore eclettico, di grande originalità e coerenza speculativa: psicologo sperimentale, continuatore e innovatore della tradizione gestaltista, ma anche violinista, autore di racconti e aforismi e infine, come il lettore potrà notare leggendo questo libro, geniale filosofo.
Fu autore sfuggente, refrattario alla notorietà e alle logiche accademiche, poco propenso a pubblicare i risultati delle proprie ricerche. «L’Accademia – recita un suo aforisma – è l’organo con cui la società si difende dalle idee».
Imparare ad osservare il mondo: coloro che hanno conosciuto Bozzi hanno appreso grazie a lui la capacità di guardare le cose «così come appaiono», indipendentemente dall’uso che possiamo farne, dai nostri pregiudizi e dalla conoscenza che deriva dal pensiero scientifico che gravita attorno alle «cose». «Lui – scrive Claudio Magris – mi ha insegnato a vedere la realtà, a prestare attenzione non solo alle idee, ma pure alle cose. Senza di lui […] probabilmente non avrei scritto Danubio o Microcosmi» .
A metà degli anni cinquanta si laureò in filosofia a Trieste con una tesi sul pragmatismo, dove prese in esame Peirce e James ma anche il pensiero degli italiani Vailati e Calderoni; in questo periodo conobbe lo psicologo gestaltista Gaetano Kanizsa, la persona che maggiormente influenzò il suo percorso scientifico. Affrancatosi dall’insegnamento di stampo idealistico gentiliano, che gli era stato impartito nel primo periodo di studi universitari, si dedicò alla lettura di filosofi inglesi come Moore, Russell e Austin e neopositivisti come Schlick. Nel 1958 Bozzi iniziò a collaborare con Kanizsa come assistente a Trieste, conducendo le sue ricerche pioneristiche sull’isocronismo del pendolo. «Mi accadde – racconta Bozzi – di osservare che le oscillazioni di un pendolo possono apparire “troppo rapide” o “troppo lente” o “naturali”, e mi sembrò di scoprire in questo fatto un sottile filo tra la meccanica di Galileo e quella di Aristotele» . Tali studi lo condussero ai primi lavori di fisica ingenua, oggi meglio conosciuta come Naive Physics.
Da Kanizsa apprese le sottigliezze metodologiche della ricerca sperimentale, in un ambiente dove, come egli stesso ricorda, sebbene ufficialmente venisse adottata una versione ortodossa della teoria della Gestalt, nella pratica «la discussione teoretica era molto scoraggiata come superflua», privilegiando invece la pura osservazione dei fatti . L’arte di Kanizsa consisteva nel sottoporre ai soggetti sperimentali delle strutture visive, «agendo fenomenicamente su un fatto fenomenicamente esplicito», per poi modificarle sistematicamente al fine di ottenere effetti percettivi inaspettati e «paradossali». Quantificazione e misura erano utilizzate solo lo stretto necessario. Ciò che contava era la scoperta, mentre l’esperimento, concepito come controllo di ipotesi, passava in secondo piano. L’operare di Kanizsa si basava su un continuo ricorso al procedimento chiamato percept-percept coupling, secondo il quale «una proprietà fenomenica agisce su un’altra proprietà fenomenica direttamente e visibilmente, quale che sia l’immaginabile stato dei relativi stimoli» . Nel suo modo di procedere non erano in gioco stimoli e percezioni, ma inferiora e superiora «ontologicamente complanari», metodo che avvicinava Kanizsa alla scuola di Graz di Meinong e Benussi (maestro di Musatti che a sua volta fu maestro di Kanizsa). Bozzi, profondamente influenzato da questo metodo, tradusse in termini teorici il lavoro svolto quotidianamente da Kanizsa. «Negli anni successivi ho lavorato in direzione di un monismo realistico sempre più accentuato e intransigente, che però contiene tutto quello che ho imparato da Köhler e discusso con Metzger» .
Fu un instancabile lettore dei classici del pensiero scientifico e filosofico, che nella lettura di Bozzi venivano trattati come se fossero dei contemporanei; ciò gli permetteva di confrontare le idee e i fatti in maniera sincronica. La sua spiccata vocazione per la teoresi gli permetteva di trattare gli autori del passato come pensatori con cui dialogare su fatti di percezione quotidianamente ricorrenti, anziché considerarli come antiquati filosofi ingrigiti dal tempo. Galileo, Hume, Peirce e James diventano così dei colleghi con i quali confrontarsi in maniera proficua: possiamo scoprire, per esempio, la «maraviglia» suscitata dall’isocronismo del pendolo esattamente come al tempo la notò Galileo. «Ritengo possibile andar a osservare i fatti – scrive Bozzi – tutte le volte che un testo del remoto passato rimanda esplicitamente all’osservazione». Refrattario alle mode scientifiche del momento, fu uno «tra i pochissimi a credere che l’impianto teoretico dei gestaltisti classici appartiene più al futuro della psicologia della percezione che non al suo passato; e che molte delle debolezze della percettologia d’oggi dipendono dal fatto di non aver né capito né letto i testi classici della Gestalttheorie» . Secondo Bozzi, l’atto percettivo non è determinato dall’esperienza pregressa ma è autonomo rispetto all’attività del pensiero e consiste nell’osservazione diretta del mondo esterno: i fenomeni hanno il carattere della dura realtà delle cose incontrate nel mondo, essi sono ostensibili, interosservabili e, attraverso il metodo fenomenologico sperimentale, ripetibili. La percezione diretta del mondo è per Bozzi anche indipendente dal nostro linguaggio, dalle idee e dai concetti; Wittgenstein, in un passo spesso citato da Bozzi, afferma che «interpretare è un’azione» mentre «vedere non è un’azione ma uno stato».
Poco incline all’adottare lo stile standardizzato richiesto dalle riviste scientifiche, prediligeva una prosa scientifica sorvegliata e attenta, dai tratti spesso letterari. Questa scelta stilistica derivava probabilmente dalla volontà di rendere la descrizione funzionale non tanto alla logica della quantità, quanto piuttosto a quella della qualità dell’apparire fenomenico. Si trattava della ricerca di una continuità tra il piano autonomo dell’osservazione, la descrizione dei fatti e la teoria. Tale continuità può forse essere estesa alle sue opere artistiche e letterarie. Bozzi imprimeva questo stile espositivo anche alle sue lezioni, le quali apparivano al contempo colloquiali e rigorose. Sempre attento a evitare un gergo specialistico ritenuto sterile e superfluo, preferiva attingere alla ricchezza del linguaggio comune, non temendo l’utilizzo espressivo, ma calibrato, di forme dialettali.
Bozzi insegnò a Trieste, Padova, Trento e di nuovo a Trieste; fu autore di importanti testi come: Unità identità causalità (1970), Fenomenologia sperimentale (1989), Fisica ingenua (1990), Experimenta in visu (1993), Vedere come (1998) e anche della biografia del violinista e compositore goriziano Rodolfo Lipizer (1997). Un mondo sotto osservazione è il titolo che abbiamo scelto per raccogliere la gran parte degli articoli di Bozzi appartenenti agli anni novanta. Il progetto di una «scienza degli osservabili in atto» iuxta propria principia prevede come metodo la fenomenologia sperimentale e come base teorica il monismo realista. La fenomenologia sperimentale si configura come «una sorta di etologia degli oggetti e degli eventi», epistemologicamente indipendente da presupposti fisiologici. Questa indipendenza comporta per Bozzi che ogni spiegazione causale della percezione, dall’oggetto fisico fino al cervello, sia considerata una condizione sufficiente ma non necessaria alla percezione fenomenica. Il genio maligno immaginato da Cartesio potrà farci dubitare della necessità del dato causalmente inteso, ma non del dato fenomenico in quanto tale. Se il metodo di ricerca è tassativamente fenomenologico, il realismo è presentato come un «optional»: si può fare ricerca anche essendo dualisti, ma è filosoficamente che il realismo monistico d’ispirazione machiana di Bozzi va compreso in tutta la sua portata teorica. Il suo progetto di una «scienza del mondo esterno» e le sue argomentazioni in difesa del realismo sono tra i contributi più originali della filosofia contemporanea.
La raccolta di scritti che presentiamo mostra l’originalità del pensiero di Bozzi sia come psicologo che come filosofo: due aspetti non scindibili che hanno accompagnato tutto il suo lavoro. Infatti la sperimentazione è, per quanto decisiva, solo una parte del suo discorso, ricco di intrecci e legami con problemi classici della filosofia della conoscenza e della «ontologia», sui quali ha gettato nuova luce. Un mondo sotto osservazione rappresenta una sorta di testamento filosofico del monismo realista di Bozzi. La maggior parte degli articoli che raccogliamo in questo volume sono stati pubblicati singolarmente e sono circolati all’interno di ambienti ristretti e specialistici. Il libro si apre e si chiude con dei brevi racconti, a simboleggiare il filo rosso del pensiero di Bozzi che attraversa il piano scientifico, filosofico e letterario.
***
“In questi studi Bozzi mostra non come è fatto il mondo, ma come noi lo percepiamo, come arriva al nostro occhio, alla nostra corteccia cerebrale, alla nostra mente e al nostro cuore; cosa succede quando le cose, i colori, i movimenti, la vita intorno a noi entrano in noi e diventano oggetto di esperienza, di classificazione, di amore o di rifiuto. Tutto questo diviene
letteratura – un’ affascinante, zingaresca e precisa letteratura”. - Claudio Magris
“Muovendo proprio dalla certezza sensibile, la vittima preferita della filosofia, Paolo ha combattuto la sua lotta filosofica a favore di una rifondazione dell’esperienza, una lotta che può apparire impari solo se si concepisce la filosofia
come una battaglia tra ombre e teorie, e non anche tra osservazioni minute ed esatte, tratte dall’inesauribile sfera della percezione. Giocando da outsider e con altri materiali, ha toccato il nocciolo della questione. L’anomalia non è
così grande: un ingegnere, Carlo Emilio Gadda, ha rinnovato la letteratura italiana del Novecento. Uno psicologo, Paolo Bozzi, ne ha ringiovanita la filosofia”. - Maurizio Ferraris
Scritti sul realismo è il frutto dell’ultimo, intenso, decennio di riflessione di Paolo Bozzi e rappresenta così il condensato del suo testamento filosofico. Il volume, inedito, raccoglie una serie d’importanti saggi elaborati durante gli
anni novanta, in cui lo psicologo affronta cruciali problemi a cavallo tra scienza e filosofia seguendo l’approccio anti-psicofisico e la fenomenologia sperimentale iuxta propria principia che aveva da sempre contraddistinto il suo
originale e rigoroso programma teoretico. Alcuni aforismi e racconti che aprono e chiudono il volume sono proprio tesi a ricordarci, nella loro lucida intelligenza, la ricchezza d’interrogativi e di temi filosofici che è possibile dispiegare tramite
la semplice osservazione del mondo esterno.
Paolo Bozzi (1930-2003), psicologo sperimentale formatosi a Trieste con Gaetano Kanizsa, dopo aver insegnato psicologia presso le università di Padova e di Trento, è stato fino al 1999 professore ordinario di Metodologia delle scienze del comportamento alla Facoltà di Psicologia dell’Università di Trieste. Musicologo, padre della “fisica ingenua”, allievo di Rodolfo Lipizer per il violino, ha pubblicato Unità, Identità, Causalità (Cappelli 1969), Fenomenologia sperimentale (Il Mulino 1989), Fisica ingenua (Garzanti 1990), Experimenta in visu (Guerini 1993), Vedere come (Guerini 1998) oltre che Rodolfo Lipizer
nei miei ricordi (Studio Tesi 1997).
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